30.9.12

Capitolo II - Tempi e strutture narrative


Il Capitolo II doveva essere il regalo di compleanno per il Negro. Perchè quel racconto, nato per cazzeggio, era destinato a rimanere, appunto, un cazzeggio. Però il Negro mi chiese di prolungarlo, di farlo diventare un romanzo. Purtroppo però la laurea specialistica è DIFFICILE, e questo post arriva solo ora. Cercherò di scrivere un capitolo al mese, d'ora in poi.
Mi sembra ovvio che con questo romanzo un giorno vincerò il Premio Nobel per la Letteratura che, d'altra parte, rifiuterò, perché gli unici premi Nobel sensati sono quelli scientifici. Mi ci pulisco il culo con un Nobel alla Letteratura o alla Pace.
Non ho la più pallida idea di dove si andrà a parare con la storia, sono il nuovo Dickens, però vi prometto che il finale non farà schifo come quello di Lost: un giorno riuscirò a sbrogliare la matassa. Quel che so è che mi piacerebbe farlo diventare un western-fantasy-porno, con qualche incursione nello sci-fi e almeno un paio di capitoli sugli zombie. Ah, i lupi mannari. Sottovalutati, i lupi mannari.

Il Capitolo II introduce Laura. Purtroppo lo scritto è andato perso da un crash di sistema, un crash devastante. Dovrò scriverlo di nuovo, nel frattempo questo è il nuovo Capitolo II, scritto mentre la Staccionata fa le prove ed io sono a casa che mi annoio; il vecchio Capitolo II, quello di Laura, diventerà il Capitolo IV. Unica regola fissa è che ogni capitolo verrà scritto in non più di due ore.

Il Capitolo I è QUI.
Piccolo riassunto del capitolo I: Marco ha 27 anni e si masturba mentre fa la cacca.

CAPITOLO II – Tempi e strutture narrative

'È come leccare il cazzo di tuo nonno' disse.

Erano piccoli; erano: bambini. Erano: due. Erano Marco e Luca. Marco: sette anni. Luca: quindici anni. Marco e Luca erano fratelli, partoriti dalla stessa dilatata vagina, inseminati dallo stesso input di carne, l'orgasmo proveniente dalla stessa uretra, lo stesso patrimonio genetico, lo stesso macchinario biosintetico. Erano: molto simili. Erano un delay uno dell'altro. Uno strano caso di time shifting. Lui: quindici anni, si sentiva grande, era piccolo. Lui: nove anni, si sentiva più piccolo, era piccolo. Ceteris paribus. Latinismi: se questa è cultura. Marco: capitolo uno. Quante mani nel mondo sono piene di sperma. Nessuno si lava le mani dopo una sega.
Marco e Luca erano a casa dei nonni. Erano: in cucina.

Lui e lui , il duomo e il Δuomo, erano seduti accanto dal lato lungo di un tavolo rettangolare bianco. Scarti di legno triturati e incollati e fissati e ricoperti di pannelli lucidi idrorepellenti in formaldeide: aldeide formica. Marco e Luca erano accomodati su sedili di legno senza spalliera e braccioli. Insomma: sgabelli. Luca arrivava con i suoi piedi nudi sul pavimento di mattonelle a chiave greca. Marco faceva penzolare le gambette, favorendo trombi. Deliziose tendine rosa. 
Certe parti sono così iconiche, stilizzate, quasi ideali perché corrispondono alla fantasia di qualcuno. Sono ricordi mediati dalla mente, fantasie belle e buone, episodi veri ritoccati, perciò devono essere altamente sublimati. Realistico ma un pò rigido, come tutte le elaborate fantasie.

Un lato corto del rettangolare tavolo bianco era a contatto con una parete azzurra della cucina. La cucina era grande e luminosa. Sulla parete, appeso: Cristo. Ai lati di Cristo: due ladroni speculari. Lewis Carroll era contemporaneo di Emil Fisher. Alice nel paese delle correlazioni stereochimiche tra monosaccaridi. Il Beta-L-Fucosio (6-deossi-Beta-L-Galattosio) delle meraviglie. Di fronte a Marco e Luca, in piedi: la nonna tagliava spesse fette di pane: morbido e profumato. La nonna: grassa, gambe: grasse, vene: varicose, valvole a nido di rondine spanate, accumuli di sangue. Vene perforanti. Una felpa nera dei TRBNGR. Sugli occhi: occhiali RAYBAN a goccia. La nonna faceva: la merenda. Prima fetta. Zac. Seconda fetta. Zac.
Poi: un rumore basso e caotico: un gorgoglio. Fourier si sarebbe sorpreso. Il tubo di un lavabo rumoreggiava a causa di uno sbilanciamento di pressione da qualche parte nella rete idrica. No. Un brontosauro qualche chilometro più in là richiamava una femmina da ingravidare. No. Il motore di una Ritmo 65 verde esalava l'ultima quantità di biossido di carbonio prima di collassare. No. Il rumore caotico era: il nonno. Il nonno sulla sedia a rotelle. Il nonno era grasso: no. Era gonfio. Medicine. Il nonno aveva il cancro alla prostata. Il medico aveva detto: cronicizzazione. Il cancro è: libertà. È la cellula che smette di fare solo quello che deve fare e comincia a fare tutto quello che sa fare, senza alcun criterio, in totale indipendenza. L'emancipazione della cellula. Cellulismo. La cellula cancerogena diventa: immortale. Anarchia.

E succeda quel che succeda.

Solo la nonna capiva quello che diceva il nonno. Il nonno puzzava: di vecchio e di malattia. Il nonno passava la sua vita seduto su una sedia a rotelle, puntata verso la porta finestra della cucina azzurra col Cristo appeso. Il nonno guardava forzato dalla porta finestra dando le spalle ai suoi giovani nipoti. E i giovani nipoti davano le spalle a lui, guardando desiderosi i generi alimentari sul tavolo bianco. La porta finestra dava su un piccolo giardino che dava su un cancello di alluminio sempre aperto che dava su una strada. Piano terra.
Il nonno indossava un pigiama che sembrava una tuta di pile. Il nonno indossava una tuta che sembrava un pigiama di pile. Era pelato.

Attendeva. Altro gorgoglio. Attendeva.

Seneca diceva che l'ozio è una virtù, io vi dico che la noia è un ottimo elettrostimolatore anale.
La nonna poggiò il coltello sul tavolo bianco. Il barattolo da 15 chili di NUTELLA aveva il coperchio bianco svitato. Nutella: odore. Per terra: una scatola di cartone con dentro ricordi da dimenticare. C'era scritto: FRAGILE. La nonna si avvicinò brontolando al marito brontolante. I nipoti si girarono a guardare, ruotando le natiche sugli sgabelli. Le gambe del nonno non si vedevano: erano ricoperte da cinque coperte coprenti e riscaldanti. Le coperte erano di vari colori, che tendevano al blu. Dalla coperta che copriva la coperta che copriva le gambe, fuoriusciva un tubicino trasparente in silicone; questo terminava in una sacca appesa sul perno della ruota destra. La sacca era ripiena per metà di piscio. L'altro estremo del tubo entrava nella cappella grigia del nonno e terminava nella vescica. Uretra. La nonna alzò un paio di coperte coprenti. Spesse coperte calde ripiegate su se stesse ma talmente lunghe che comunque sfioravano terra. Una coperta era bagnata di piscio. Il colore blu sembrava più blu. Nel blu dipinto di blu.
Il catetere tempo addietro si era bucato in un punto, si era piegato in maniera anomala e il cristallino era crepato, rompendosi. Il taglio era stato grossolanamente chiuso con del nastro adesivo bianco che però, ora: aveva ceduto. La nonna reincollò alla meno peggio il nastro ormai umido, poi tirò su tutte le coperte, armeggiò con i vestiari e prese in mano il cazzo moscio di suo marito. Controllò che non ci fossero perdite di piscio anche dal glande. Con due dita, pollice ed indice, comprimeva il rugoso glande grigio intubato. Unghie sporche. Glande sporco. Osservava il glande mentre il nonno attendeva: gorgoglio. Non c'erano perdite, non più del dovuto. Risistemò il tutto. Tornò al tavolo. I nipoti fecero da girasoli. In una gabbia, un pappagallo verde cagava su L'Avvenire. Sul frigorifero un foglio bianco con su scritto: 

LO SPAVENTO!
JHON LENNON È VIVO GESTISCE TAGADA' A RICCIONE
SI FA CHIAMARE: JIM NICOLETTI
SE GLI CHIEDI LE CANZONI DEI ROLLING STONES SPUTA

La vecchia prese una fetta di pane, le sue dita grasse e umide comprimevano morbida mollica bianca. Morbida e porosa mollica di pane. Il pane assorbì tutto. Assorbì il sudore, assorbì il piscio, assorbì cellule morte, assorbì i batteri presenti sul grande glande grigio salato. Riprese il coltello, lo infilò nel barattolo di vetro.

'È come leccare il cazzo di tuo nonno'
Questo Luca sussurrò nell'orecchio di Marco. D'un tratto fare merenda perse di molto da un punto di vista dell'aspettativa. La nonna udì e percepì sorrisi e sguardi d'intesa fra quei due piccoli bambini che erano usciti dalla vagina dilatata e sanguinante di quella donna che era uscita dalla sua vagina dilatata e sanguinante. La vagina nel parto. Quindici centimetri di dilatazione. Tre chili di carne. Un litro di sangue. Piscio. Merda. Il miracolo della vita. L'invidia del pene.

'Ti stai forse facendo giuoco dell'anzianità del padre di tua madre?' chiese la vecchia al piccolo più grande.

'Non oserei mai, madre di mia madre. Si soleva unicamente fare dell'ironia sulle poco adeguate usanze igienico sanitarie di cui si fa uso in codesta domus; mi si permetta, colei ha sicuramente il dono dell'esperienza conferitagli da decenni di vita superiori a quelli di me, ma trovo alquanto disdicevole la preparazione di cibarie con strumenti prensili evidentemente contaminati da urina di colore giallo paglierino, la cui provenienza è, inoltre, un uomo in evidente patologia cronica degenerativa' rispose solennemente Luca, ironico. Sfrontato, le mani aperte poggiate sul tavolo, il corpo che tendeva verso la vecchia. Giovane. Capelli: rasati. Occhi: azzurri.

Un istante dopo il coltello era ridisceso e tranciava di netto quattro dita della mano sinistra di Luca. Le falangine schioccarono quando si spezzarono: STACK. Si salvò il pollice. Il pollice tozzo ora era il dito più lungo. Poi il coltello schizzò di nuovo in aria, la punta cambiò direzione e si abbatté nuovamente. Questa volta la lama bucò il carpo della mano e si fece strada nel tavolo: Luca era stato crocifisso.
Marco fu: turbato. Luca esclamava: sorpresa.

'Oh perdincibacco! Dita rotolano. Cui prodest?' chiese l'amputato

'Giammai ti farai scherno dell'anzianità. Zuzzurellone.'

Tanto sangue denso colava dalle dita, a ritmo con il battito del cuore. Le piastrine si sentivano sopraffatte. La vecchia abbandonò la presa dal coltello, appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita dietro la nuca dell'impertinente impudente insolente irriguardoso sfacciato nipote. Con violenza fece sbattere dodici volte il viso del giovane sulla superficie bianca di legno rigido.

Uno.
Due.
CRAC.
Quattro.
Cinque.
Sei.
Sette.
Otto.
Nove.
Dieci.
Undici.
CRAC.

Il primo crac fu il setto nasale che si spezzava. I fosfeni rilevavano variazioni di potenziale dovute a correnti dell'ordine del microampere. Lampi di luce. Fuoriuscita di sangue e liquido giallastro dalle narici. Il secondo crac fu l'osso frontale del cranio. Sangue schizzava colava spruzzava e liquido cerebrospinale sui muri. Liquido cerebrospinale su Cristo. Liquido cerebrospinale su un ladrone: non più speculare. Entropia.
Ad ogni craniata sul tavolo Marco aveva fatto un passo indietro. Alla decima: toccava con la schiena la porta finestra. Il vecchio sulla sedia a rotelle guardava fuori, sul marciapiede, un pazzo molto decorativo. Marco guardò suo fratello che moriva, mentre scivolava dallo sgabello con la mano ancora inchiodata al tavolo. Sbrattava sangue. Poi alzò lo sguardo su sua nonna. Lei lo guardò. Si tirò su la felpa: mostrò a suo nipote i suoi enormi cadenti seni vuoti. Questo era un flashback. Marco si ritrovò sul letto, seduto, la schiena compressa sulla parete. Calor. Dolor. Rubor. Tumor. Functio lesa dei gomiti. Functio lesa delle spalle. I piedi scavavano e scivolavano sulle coperte bagnate di sudore e sperma e poco sangue tentando di allontanarsi il più possibile dalla fonte di pericolo. Uomo sconosciuto alto pallido calvo al buio. L'ipotalamo mandava segnale: caso di emergenza. Le corde vocali: disabilitate. Le pupille si dilatarono cercando di raccogliere quanti più fotoni possibili. Il nervo ottico amplificava segnali infinitesimi. Il riverbero della lampada alterava la visione. Rumore bianco: elettroni. Frequenza di rete: 50 Hz. L'uomo alto in penombra. I timpani si rilassarono per accogliere le basse frequenze. I reni scagazzarono adrenalina e noradrenalina. Il cuore pompava sangue e ossigeno. Calore metabolico. Percezione fittizia di freddo. Pelle d'oca. Urina. Il pene flaccido, dapprima abbracciato ad un testicolo, ruotò verso la pancia. Urina schizzava. Piscio zampillava. Marco si innaffiò il ventre. Quando la pressione del gettito diminuì, il pene tornò mogio mogio ad accoccolarsi su un testicolo, minuto.
Nel frattempo: Maurizio Costanzo non aveva notato l'uomo sconosciuto pelato alto innaturale. Maurizio Costanzo si era voltato verso destra, verso il buio, rallentava il battito del cuore dopo l'orgasmo, dopo il sesso anale, la stimolazione prostatica: il pene gli puzzava di merda. Maurizio offriva il suo enorme deretano peloso alla luce. Maurizio non vide il pericolo. Maurizio percepì il pericolo. Sensazioni. Maurizio Costanzo si cagò sotto dalla paura. Due volte. La prima da un punto di vista metaforico. La seconda da un punto di vista letterale. Tra le due cagate, Maurizio morì, ritirandosi in posizione fetale. Un fiume di merda liquida scoppiettò dal suo culo, colorando un arcobaleno marrone sulle lenzuola verdi. Il cuore fratturato.

Lo spavent, o assolut, o fu tale che persino la punteggiatura arretrò di un caratter.
E

[Continua]

2.9.12

Gerarchia spirituale

Mai gli uomini capiranno perché alcuni di loro sono destinati ad impazzire, perché esiste questa fatalità inesorabile che è l’ingresso nel caos, dove la lucidità non può durare che lo spazio di un lampo. Le pagine più ispirate, da cui promana un lirismo assoluto, in cui si è in preda a un’esaltazione, a un’ebbrezza totale dell’essere, non si possono scrivere se non in una tensione nervosa tale da rendere illusorio ogni ritorno all’equilibrio. Dopo simili tensioni generalmente non si sopravvive: la molla intima dell’essere cede, le barriere interiori crollano. Il presentimento della follia non sopraggiunge se non in seguito a esperienze capitali. Quasi ci si fosse sollevati ad altezze straordinarie alle quali si è colti da vertigini, si vacilla, si perdono la sicurezza e la percezione normale del concreto e dell’immediato. Un grande peso sembra comprimere il cervello, come per ridurlo a un’illusione, ma sono proprio queste sensazioni a rivelarci la tremenda realtà organica da cui sorgono le nostre esperienze. E sotto questa pressione, pronta a gettarci a terra o a farci saltare, nasce il terrore, le cui componenti sono difficili da definire. Non il terrore tenace ed ossessivo della morte, che s’impossessa dell’uomo e lo domina fino a soffocarlo; non è un terrore che si insinua nel ritmo del nostro essere per annientare in noi il processo della vita, ma un terrore attraversato da rari e intensi bagliori, come un turbamento improvviso che elimina per sempre ogni possibilità di lucidità futura. E’ impossibile precisare e definire questo strano presentimento della follia. La cosa davvero spaventosa è il fatto che noi vi avvertiamo, vivendo, una totale e irrimediabile perdita per la nostra vita. Pur continuando a respirare e a mangiare, ho perso tutto ciò che ho mai potuto aggiungere alle mie funzioni biologiche. Non è che una morte approssimativa. Nella follia perdiamo la nostra specificità, tutto ciò che si pensa ci individualizzi nell’universo, la nostra prospettiva particolare e un preciso orientamento della coscienza. Anche la morte ci fa perdere tutto, ma lo perdiamo precipitando nel nulla. Così, benché persistente ed essenziale, la paura della morte è meno bizzarra di quella della follia, in cui la nostra semipresenza è un fattore di inquietudine ben più complesso rispetto all’organica paura dell’assenza totale che si prova davanti al nulla. La follia non sarebbe allora una fuga dalle miserie della vita? Questa domanda si giustifica solo in teoria, perché in pratica, a chi soffre di certe ansietà, la questione appare sotto una luce – o piuttosto sotto un’ombra – tutta diversa. Il presentimento della follia è reso più complesso dalla paura della lucidità nella follia, la paura dei momenti di ritorno in sé, in cui l’intuizione del disastro potrebbe essere così dolorosa da provocare una follia ancora più grave. Se non c’è salvezza attraverso la follia, è perché non c’è nessuno che non ne tema gli sprazzi di lucidità. Si desidererebbe il caos, ma si ha paura delle sue luci.
Ogni forma di follia è determinata dalle condizioni organiche e dal temperamento. E poiché la maggioranza dei folli si trova fra i depressi, per forza di cose la depressione è più diffusa degli stati di esaltazione allegra e traboccante. Nei depressi è così frequente la melancolia nera che quasi tutti hanno una tendenza al suicidio – soluzione, questa, quanto mai difficile finché non si è pazzi.
Vorrei perdere la ragione ad un unico patto: essere sicuro di diventare un pazzo allegro, brioso ed eternamente di buon umore, senza problemi né ossessioni, che ride senza motivo dalla mattina a sera. Desidero infinitamente estasi luminose, eppure allo stesso tempo non ne vorrei, perché ad esse fanno inevitabilmente seguito le depressioni. Vorrei invece che un bagno di luce scaturisse da me e trasfigurasse il mondo intero, un bagno che, lungi dalla tensione dell’estasi, conservasse la calma di un’eternità luminosa. Avrebbe la leggerezza della grazia e il calore di un sorriso. Vorrei che il mondo intero galleggiasse in questo sogno di luce, in questo incantesimo di trasparenza e di immaterialità; che non vi fossero più ostacoli, materia, forme o confini. E in questa visione, vorrei morire di luce.
 
 

 

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